Sono meglio i cani o i gatti?
All'eterna domanda che contrappone amanti di cani e gatti cerca di rispondere «New Scientist», autorevolissima rivista scientifica inglese, che ha condotto uno studio sulle due specie domestiche che frequentano le nostre case. Il risultato parla chiaro: valutati undici parametri e, messe in relazione le qualità di gatti e cani, ai primi tocca la sconfitta seppur con l'onore delle armi. Andiamo allora a vedere quali parametri sono stati valutati.
Sarà soddisfatta la tribù di quelli che alla domanda «meglio i gatti o i cani?» non hanno dubbi e raccontano di quanto i secondi siano più fedeli, affettuosi e intelligenti. Meno i «gattofili» che, per correre in difesa dei loro beniamini, arrivano a smontare la ricerca della rivista inglese. Proprio come fa l’etologo italiano Giorgio Celli che di gatti ne ha tre: «Sono animali imparagonabili. Il cane è un animale sociale, il gatto è un solitario. E visto che lo studio mette al centro il loro rapporto con l’uomo, il risultato è scontato». E poi aggiunge: «Se la capacità d’interazione con il “padrone” è prova di maggior valore, io pongo una domanda a quelli di «New Scientist»: è più intelligente chi si fa addestrare, come il cane, o chi invece si rifiuta, come fanno i gatti?».
Ma quali sono i parametri valutati dagli scienziati britannici? Il primo, neanche a dirlo, è la quantità di neuroni in loro possesso. E fin qui i gatti vincono alla grande: 300 milioni, i loro, contro i «pochi» 160 posseduti dai cani.
Il pareggio, però, arriva subito. Se si valuta il «tempo trascorso con l’uomo» non c’è gara. Gli archeologi hanno trovato resti di «cane domestico» che risalgono a 30 mila anni fa, mentre quelli del gatto si aggirano attorno ai 9 mila. Un elemento questo che, secondo gli specialisti, indicherebbe la maggiore propensione dei discendenti del lupo a relazionarsi con l’essere umano.
Terza questione - e qui c’è il sorpasso - è il legame con il padrone. Il cane, dice la ricerca, si sente tanto stretto al suo quanto il gatto alla casa in cui vive. A dimostrarlo un esperimento condotto in laboratorio: il primo allontanato da padroncino o padroncina si comporta come un bimbo diviso dalla mamma. Il rapporto, in pratica, tra animale e uomo è di assoluta dipendenza. Diverso, invece, l’atteggiamento del gatto che non mostrerebbe attaccamento. Va detto che i critici della ricerca mettono in dubbio soprattutto questo punto della valutazione: per il piccolo felino, infatti, è già sufficientemente stressante trovarsi in un territorio estraneo - ostile per lui - appunto, com’è un laboratorio, da riuscire anche a manifestare attaccamento al padrone. Una circostanza questa, piuttosto evidente a chi un gatto ce l’ha, ed è stato costretto a portarlo dal veterinario: sul tavolo d’acciaio, il micio sta piatto con gli occhi sbarrati e le orecchie bassissime. Con la speranza di uscire il prima possibile da quella situazione «infernale», il gatto, più che il padrone, punta direttamente la porta.
Il pareggio arriva inaspettato con il quarto parametro: la popolarità. Secondo recenti studi sono 173 milioni i cani che vivono beati nelle case di padroni che abitano nei paesi a «maggioranza cani» - tra gli altri l’Italia, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina - mentre 204 i piccoli felini che stanno in quelli a «maggioranza gatti».
A portare nuovamente in vantaggio i cani la «capacità di comprensione». Tra le razze citate nella ricerca spicca il Border Collie capace di comprendere un vocabolario di 200 parole. Un punto ancora in più, poi, per l’abilità di «problem solving». Una valutazione questa, su cui non concorda Roberto Marchesini, esperto di zoontropologia, che, sull’intelligenza degli animali ha scritto un libro.«I gatti sono gli animali per eccellenza che dedicano le loro giornate a risolvere problemi. Il senso della vita è andare a cacciarsi nei guai per poi uscirne, risolvere enigmi, cercare soluzioni». E poi aggiunge:«A differenza dei cani che, invece, sembrano avere come scopo quello di assecondare il padrone, condividere tempo e spazio con lui, essere coinvolti».
I gatti superano in cani, invece, in «vocalizzazioni». Cioè nell’abilità di usare la voce per comunicare con l’uomo. Addirittura sono capaci - la scoperta è recente - di emettere un suono simile a quello del neonato che agisce a livello subliminare. Due punti in più, se li aggiudicano i felini, per i «supersensi»: hanno 200 milioni di recettori olfattivi (molti meno quelli nei nasi dei cani) e per l’«ecologia»: 0,84 gli ettari di terra necessaria a un cane di media taglia, 0,15 quelli quelli di cui ha bisogno un gatto. Punti preziosi che portano al pareggio: cinque a cinque.
E poi la sconfitta, sei a cinque, con l’ultimo parametro, quello sull’«utilità»: i cani sanno cacciare, fare i pastori, salvare vite umane, Aiutano nell’assistenza e durante le operazioni di polizia. Portarli a spasso è anche una buona soluzione per la salute dell’uomo.
Gara finita. Agli amanti dei felini non resta che consolarsi con l’idea di condividere il pensiero di un nobel della medicina, Konrad Lorenz: «Il gatto è una creatura intelligentissima che non si considera prigioniera dell’uomo, ma stabilisce con lui un rapporto alla pari».
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